L'arte e lo schema
Il principiante che arriva in palestra, dopo qualche movimento di base, ed eventualmente un discorso introduttivo sulle arti marziali giapponesi, si trova a che fare con questa cosa insolita che sono i Kata.
I kata sono schemi predefiniti di combattimento, da effettuare con estremo rigore, seguendo con precisione estrema tutti i dettagli, pero' senza avversari, ma comportandosi in tutto e per tutto come se ci fossero.
Sono una cosa un po' nuova per un occidentale, anche se qualcosa di simile lo troviamo in tante delle nostre discipline, tipo gli obbligatori della ginnastica artistica.
I kata delle arti marziali giapponesi sono un'eredita' cinese, ove, nel Kungfu, l'insegnamento avviene essenzialmente tramite la pratica dei tao-lu 1 : complicati schemi di movimenti predefiniti, eseguiti senza avversari oppure a coppie.
I taolu cinesi sono lunghi, vari e fantasiosi, e ce ne sono tanti. I kata giapponesi invece sono brevi, e, specie nello Iaido, composti da pochi movimenti essenziali, ma curati all'estremo; coerentemente col fatto che le arti marziali riflettono il contesto storico-cultrale in cui si sviluppano e lo spirito dei popoli che le praticano.
In tutte le arti marziali orientali l'uso di schemi e' la metodologia didattica prevalente, se non l'unica. Cosi' accade che questi schemi finiscano per contenere sia elementi tecnici che esercizi per lo sviluppo fisico, frammisti da elementi determinati da abitudini di singoli maestri, necessita' contingenti (spazi diponibili per la pratica), e perfino elementi filosofici e religiosi, come sono, ad esempio, i movimenti di Taichi che riproducono il simbolo del Tao.
I kata vengono tramandati da maestro ad allievo in tutti i loro rigorosi dettagli, e vanno eseguiti esattamente come sono insegnati, secondo una logica che mi sa molto di confucianesimo, ove il sapere viene dagli antichi, trasmesso senza varianti, seguendo fedelmente il rispetto per le gerarchie e l'anzianita'.
In questo modo i kata finiscono per essere il libro di testo che descrive l'arte marziale, e contengono gli elementi essenziali dello stile, anche se, a dir il vero, mi sembrano libri un po' alterati dal tempo, ed a volte anche orribilmente scarabbocchiati, e mi riferisco in particolare al Karate, con movimenti a volte veramente incomprensibili (oltre che inapplicabili) 2
Nella mia ottica da occidentale individualista lo schema e' solo uno strumento didattico, da strutturare e variare in funzione delle necessita' dell'insegnamento e della preparazione degli allievi, lo scopo reale sono le abilita' specifiche, che sono una cosa diversa. Ma mi sono reso conto che nell'ottica orientale, ed in particolare Giapponese, lo schema e' sentito in modo ben diverso.
Forma e contenuto, schema ed applicazione reale, che per me sono due cose ben distinte, si uniscono. Il contenuto si esprime tramite uno schema, ed e' la pratica assidua dello schema che permette di arrivare al contenuto. E' un po' Zen: un livello superiore si raggiunge con l'approfondimento estremo di azioni semplici, non tramite una varieta' di azioni ed esercizi.
Questo modo di vedere le cose mi ha sempre un po' spiazzato; e da quel po' che ho visto, in tutti questi anni, ho tratto l'idea che il Giapponese tenda a crearsi uno schema, e poi viva nello schema, rigorosamente. Forse un'eredita' del Giappone medioevale, che era un periodo difficile, ove si poteva sopravvivere solo entro le rigide regole del clan, che dava protezione e sicurezza. E si viveva come parte di un gruppo, e anche tutte le ambizioni le lotte e gli scontri personali, che erano violenti e frequenti, erano vissuti entro il gruppo, secondo le sue regole e la tradizione. E anche la tradizione diventa uno schema di vita, immutabile.
Mi ha sempre sorpreso come, in tutta la storia del Giappone, ci sia stata una sola dinastia imperiale. In Cina il condottiero che conquistava il potere diveniva imperatore, e nasceva una nuova dinastia, in Giappone no, cosi' troviamo ad esempio, attorno al 700, la corte imperiale completamente dominata dal clan Fujiwara: comandavano loro, davano le figlie in moglie all'imperatore, ma non divenivano imperatori. In Giappone in pochi periodi l'imperatore ha avuto potere; in certi periodi, in pratica, era sottomesso allo Shogun, ma mai deposto, e neanche nel periodo dei due imperatori il condottiero Ashikaga prese il posto del sovrano: ne installo' uno di suo gradimento, che, per nascita, potesse rappresentare la tradizione. Quest'aspetto della storia giapponese mi ha sempre lasciato perplesso.
L'estrema cure del dettaglio che troviamo nell'arte giapponese, nelle arti marziali, ma anche in tanti aspetti della vita quotidiana, si riflette in una definizione minuziosa dei dettagli dello schema, che diventa quasi un rito, definito in modo estremamente preciso. Un esempio classico e' la cerimonia del te, o il kyudo, ed anche i kata della arti marziali sono cosi': definiti nei minimi particolari.
Guardo i kata di kendo: i due devono muoversi col piede giusto, prendere la guardia predefinita, avvicinarsi facendo un certo numero di passi, il kiai giusto, come prescritto, poi riprendere la guardia, allontanarsi, ritornare a posto, tutto perfettamente definito; quando di fa un embu (dimostrazione), e' poi anche prescritto come entrare, come camminare, tutti i dettagli del saluto, come posare e riprendere la spada, tutto. Al mio occhio inesperto (non faccio kendo) sembra poi che le tecniche del kata (almeno per i primi) siano quelle che fanno di continuo nel combattimento: schivare e contrattaccare alla testa, o sul polso etc. etc., ma ho il dubbio che molti praticanti non se ne siano mai accorti, l'attenzione all'aspetto formale prevale sull'esecuzione della tecnica. Lo schema, arricchito di tutti i dettagli formali, diventa esso stesso sostanza ed oggetto di studio... ma non e' che in questo modo passa in secondo piano la tecnica che si fa ?
Anche le relazioni inter-personali, e, nel nostro caso, la pratica in palestra, sono schematizzate: il saluto, la fila, il modo di disporsi, il rispetto per l'anzianita', tutto preciso. Certo, questo formalismo esprime un gran senso di rispetto e disciplina, ma ha qualcosa di freddo, l'inchino e' rispetto, il nostro modo di salutare e' piu' adatto ad esprimere emozioni (o relazioni commerciali).
Anche il modo di mettersi in relazione col gruppo finisce per essere un modo di inserirsi in uno schema. Un esempio che mi ha sempre colpito e' cosa succede quando un maestro giapponese ci fa mettere in fila per l'allenamento. Deve essere abbastanza deprimente, per un giapponese, vedere il modo caotico in cui ci disponiamo, ma, siccome e' giapponese, non dà in escandescenza, ma passa un tempo interminabile a sistemarci in ordine uno per uno.
Ed e' perche', per ognuno di noi, la file inizia nella propria posizione, e poi ci si guarda attorno, e si accorda, ma all'incirca, la propria fila personale con quella degli altri. La cosa sorprendente e' che il sistema converge, e, in un tempo ragionevole, si ottiene una configurazione abbastanza funzionante. Ma il giapponese non lo sa, e questo sistema non gli torna, perche' il giapponese si pone naturalmente nella fila, e' naturalmente parte del gruppo, mentre per noi il gruppo e' solo una aggregazione temporanea per scopi specifici, qualora siano fuori dalla portata del singolo.
La didattica di tante arti marziali, specie lo Iaido, e' basata soprattutto sull'esecuzione di kata: schemi, predefiniti e precisi; questo modo di affrontare l'allenamento presuppone che lo schema (nello specifico il kata) comprenda completamente l'arte, ma io, principiante occidentale, ho il dubbio che ad un certo punto, per proseguire, occorra essere capaci di guardare oltre lo schema, andando a riscoprire quei contenuti che sono, in effetti, contenuti nello schema, ma non in modo esplicito, invece di fermarci sempre a pignolare su minuti dettagli, senza sapere piu' cosa significano.
Perche' il maestro Giapponese di alto livello vede oltre lo schema, ma esprime quello che vede tramite i dettagli fini dello schema.
E' capitato, tempo fa, che il maestro giapponese si soffermasse puntigliosamente a correggese, a nostri atleti di punta, la posizione del mignolo nella fase di rinfodero della spada (nella azione di noto). Nella mia visione il problema non era il mignolo, quello era solo il sintomo, e' che l'atleta perdeva, nel rinfoderare, il contatto psicologico con la spada, stava facendo un movimente vuoto, puramente formale, e non sentiva piu' la spada come un oggetto vivo. Come quella volta che un mio collega di palestra fu ripreso ad uno stage perche', durante una spiegazione, non teneva la mano sull'impugnatura della spada infilata nel fodero. Meta' di noi non teneva la mano sulla spada, ma il maestro giapponese colse il fatto che lui aveva dimenticato la spada, ed infatti e' una persona notoriamente distratta 3 .
Questi maestri giapponesi, con alle spalle decine e decine di anni di Iaido e Kendo, hanno questo senso particolare del combattimento fatto di determinazione, coraggio, lucidita' e concentrazione che e' la principale ed affascinante caratteristica delle arti marziali giapponesi. Sentono subito quando questo spirito viene meno, ma poi interpretano il problema correggendo il particolare dello schema; ancora una volta vediamo come schema e sostanza vengano fusi in un'unica entita'.
E lo schema, alla fine, acquista una vita sua, indipendente dalla situazione reale da cui e' nato: e' possibile imparare a colpire veramente tirando migliaia di colpi a vuoto, come si fa nel Karate, o, nello Iaido, imparare a tagliare senza tagliare praticamente mai ?
Nel Karate, ai vecchi tempi, i maestri di Okinawa si allenavano molto colpendo il makiwara 4 . E la differenza fra un pugno allenato sempre a vuoto ed un pugno allenato al makiwara si vede: il pugno e' ben chiuso, stabile, non oscilla all'impatto col bersaglio. Il pugno allenato a vuoto no, in un certo senso non e' calibrato 5 . E' una questione di fine coordinazione muscolare al momento dell'impatto, ed e' quello che determina l'efficacia dell'azione; come si puo' acquisire lavorando a vuoto? E del resto anche i pugili lavorano molto usando un bersaglio, anche se la tecnica e' diversa, e si usa il sacco invece del makiwara.
Lavorare a vuoto serve per impostare le basi del movimento o sviluppare certe capacita' fisiche, ma alla fine un bersaglio vero ci vuole.
Mi chiedo se la stesa cosa valga per il taglio nello Iaido, che proviamo sempre a vuoto. Non ho un risposta perche', come principiante, non colgo ancora bene la differenza fra un taglio e l'altro; a parte quando vedo far fischiare la spada in alto, sopra la testa, come fanno alcuni ... ma non mi hanno sempre detto che il nemico immaginario dovrebbe essere davanti ?
I kata nascono da situazioni di combattimento reale, che vengono codificate, a scopo didattico, in movimenti semplici. Ma a diversi movimenti reali finisce poi per poter corrispondere lo stesso movimento semplice; per cui la corrispondenza fra movimento del kata ed applicazione non e' univoca. E' un problema che ho visto molto nel Karate: alla fine l'interpretazione della tecnica del kata e' ambigua; e lo stesso movimento puo' essere spiegato in mille modi diversi, confondendo l'allievo. Anche perche' non e' sempre noto quale era il movimento reale da cui e' nata la tecnica. Come conseguenza nei "bunkai" 6 si vede di tutto, anche salti mortali, purche' sia roba spettacolare.
Questa ambiguita' dei movimenti dei kata si comprende se si guarda oltre il dettaglio: studiando il kata in realta' non apprendiamo specifiche tecniche di combattimento, ma abilita' motorie di base; un certo movimento in avanti con la mano puo' essere sia una parata che un colpo a seconda delle situazioni. Ma il movimento e' sempre lo stesso, se lo impariamo bene poi lo usiamo in tanti modi.
Per fortuna nello Iaido le spiegazioni sono state tramandate e sappiamo bene che, ad esempio, nel kata Ukigumo, quando quello seduto due posti piu' a fianco vuole prendervi la spada bisogna spostare quello seduto in mezzo mentre ci si alza ed estrarre nel modo giusto e poi tutto il dettaglio di come si procede per risolvere la situazione. Non oso immaginare come sarebbe stato interpretato questo kata se si fosse persa la spiegazione originale.
Nel Karate la situazione e' molto piu' confusa, da kata cinesi, gia' di per se un misto di tecnica, azioni ginniche e quant'altro, trasmessi in modo forse poco approfondito, nascono le tecniche dell'isola di Okinawa 7 , che poi assorbono elementi giapponesi e mutano ancora quando arrivano nel Giappone pre-bellico. All'ambiguita', dovuta al passare dall'azione vera ad una sua schematizzazione, si aggiunge l'ambiguita' dovuta all'aggiunta di tanti elementi scollegati dall'applicazione pratica. C'e troppa roba dentro questi kata!
Il Buddismo Zen era diffuso fra gli antichi Samurai, e troviamo un forte influsso di questo credo religioso in tutte le arti marziali Giapponesi. L'esempio principe e' il Mukutso che si fa a inizio e fine allenamento, che e' proprio un attimo di meditazione Zen, ma l'influenza non si ferma a questo. Fortissima e' l'idea del "do", la via, intendendo l'arte marziale non piu' come un metodo di combattimento, ma come un mezzo di miglioramento interiore, e una disciplina come lo Iaido diventa una specie di meditazione Zen, ma con la spada, invece che seduti davanti ad un muro.
Un'idea dominante e' che si possa raggiungere un livello superiore con la pratica precisa ed assidua di azioni semplici. Questo, abbinato alla cura estrema del dettaglio dei giapponesi, guida le metodologie di allenamento, per cui si curano molto le basi, in tutti i piu' fini dettagli e si ripetono all'infinito poche azioni di base, anzi, spesso, si finisce per far solo quello. Anche qui la pratica si cristallizza in uno schema, che alla fine diventa lo scopo stesso dell'allenamento.
Ma e' poi vero che facendo un numero infinito di volte gli stessi quattro movimenti si migliora all'infinito ?
Io ho qualche dubbio, ho l'impressione che ad un certo punto il movimento divenga automatico, e si cristallizzi senza piu' evolvere (errori compresi).
Negli sport occidentali, che curano soprattutto lo sviluppo della condizione fisica, vedo che c'e' tutto uno studio sulla periodizzazione e la struttura dell'allenamento, in modo da variare e ottimizzare lo stimolo applicato.
Lo Iaido pone l'accento piu' sulle capacita' coordinative che sulle condizionali 8 , ma forse anche qui occorrerebbe variare ogni tanto gli stimoli, quello che invece si fa per rompere gli automatismi e' rianalizzare e ristudiare di continuo i dettagli. Non e' che converrebbe provare a combinare i due metodi ?
Non ho trovato un riferimento preciso, ma mi sembra un'idea di forte connotazione confuciana; questo termine schematizza l'evoluzione dell'uomo, da bambino ad adulto: Shu e' la fase dell'apprendimento in cui il bambino impara copiando i genitori; Ha e' la rottura, ove l'adolescente assume un atteggiamento critico verso i genitori; Ri e' la separazione, ove, ormai adulto, il figlio prende una strada indipendente.
Questo concetto e' usato nel contesto delle arti marziali per rappresentare l'evoluzione dell'allievo, ma non tutti lo intendono nello stesso modo.
Nella fase iniziale: Shu, si copia, senza troppe discussioni.
La fase Ha viene raccontata con sfumature diverse: talvolta e' intesa come: "aprire il proprio orizzonte" confrontando metodologie diverse, mentre a volte e' intesa proprio come frattura fra allievo e maestro.
La fase Ri e' descritta come il momento in cui si trova una propria identita', o un modo personale di intendere la tecnica, a volte invece e' citata come una fase in cui si abbandona il maestro per una propria strada; pero' sempre nel contesto della tradizione, o addirittura riconciliandosi con la tradizione dopo la fase Ha, perche', in ogni caso, un reale distacco dalla tradizione e' inconcepibile.
Nello Iaido si insiste molto sulla fase Shu: copiare e preservare. Copiare e' sempre la prima fase di un processo di apprendimento, un po' in tutti i campi: si parte da quello che c'e' gia' e poi si va avanti; come hanno fatto ad esempio i giapponesi per le macchine fotografiche o per le auto, all'inizio copiavano, adesso sono leader del mercato e hanno fatto parecchie innovazioni loro.
Ma in Shu c'e' anche il senso di "uniformarsi", "obbedire", del rispetto per l'autorita'. Shu in questo senso finisce per significare: "conforme"; una fase che nega l'inventiva, l'autonomia ed in definitiva nega l'individualita'.
Copiare semplicemente il maestro, senza farsi domande e senza bisogno di capire, nel rispetto pieno dell'autorita' e della tradizione. Spesso "Shu" e' inteso in questo modo; coerentemente con una tradizione Confuciana di rispetto per l'antico, l'autorita' e le tradizioni ed in un contesto di rigida struttura sociale, quale quella del Giappione dei Tokugawa.
Ma copiare senza capire e' sbagliato: significa rinunciare a cogliere l'essenza oltre la forma, significa rinunciare a progredire veramente, significa guardare il dito quando il maestro indica la luna 9.
La prima cosa dovrebbe essere capire, ma quando si tratta di movimenti, capire solo la teoria significa poco, per capire veramente un movimento bisogna in qualche maniera sentirlo, e riuscire a riprodurlo, cosa che non e' per niente facile nelle arti marziali e specialmente nello Iaido, ove occorre padroneggiare tutti i dettagli del movimento. Capire e' un processo lungo, e non e' solo copiare, e' anche provare e sperimentare.
Copiare senza capire puo' tradursi in incomprensioni paradossali: nel Kungfu ci sono taulu di spada ove la destra tiene la spada e la sinistra ha la mano semi-chiusa, con l'indice ed il medio tesi. Ci si chiede perche' la mano va cosi', ma se non tieni la sinistra secondo i canoni il maestro ti corregge perche': "si fa in questo modo".
La mia maestra di Taichi, che fa anche Iaido, (ove ci ossessioniamo con il saiabiki e l'uso della saia 10), a un certo punto ha avuto un'illuminazione: "non e' che la sinistra teneva il fodero ?". L'indice ed il medio sarebbero lungo il fodero per controllarne la direzione mentre le altre dita lo stringono; ed infatti in certi taolu ci sono movimenti, all'inizio ed alla fine, che tornano abbastanza con l'atto di sforerare e rinfoderare; poi molti movimenti con la sinistra si intepretano bene se si pensa ad usare fodero come protezione.
E' solo un'ipotesi, la verita' si e' persa nel tempo; ma potrebbe essere stato veramente cosi': a un certo punto qualcuno ha iniziato a fare l'esercizio senza fodero, e da allora, per centinaia di anni tutti hanno continuato rigorosamente a copiare, e ad insegnare il dettaglio del movimento senza sapere piu' cosa stavano facendo. Questo e' Shu, quando inteso come "copiare senza capire".
Nel Karate shotokan c'e un kata: Unsu, ove si fa un movimento iniziale rotatorio seguito da un colpo con l'indice tenendo le mani semichiuse, ma con l'indice steso. Ho sentito molte dotte disquisizioni sull'applicazione di questo movimento. Ma un giorno la mia maestra di Taichi ha visto la tecnica ed ha notato come in certi taolu di Kungfu ci sia un movimento simile ove, prima dell'esercizio, ci si tira su il lungo vestito e lo si infila nella cintura. In questo caso l'indice teso e' perfetto per spingere l'orlo del tessuto nella cintura.
Anche questa e' solo un'ipotesi, magari molto fantasiosa, ma se fosse vero? Un modo di sistemarsi il vestito scambiato per una tecnica. Questo puo' essere il risultato del copiare senza capire, un modo purtroppo comune di intendere la fase: Shu.
Le arti marziali giapponesi, che alla fine anche noi occidentali finiamo per vivere un po' come una specie di cammino Zen, sono difficili: afferrare i dettagli piu' fini di movimenti apparentemente semplici e certe dinamiche motorie e' veramente un lavoro estenuante; per non parlare del "combattere senza combattere", mantenendo il senso dello scontro senza mai l'avversario davanti.
E' una ricerca continua, effettuata provando e riprovando, analizzando e rianalizzando i movimenti e gli errori. In quest'ottica Shu si fonde con Ha, in un unica perenne analisi ove non c'e' piu' contrapposizione e separazione, perche' non c'e' mai stata uniformita' ed unione. Il maestro e' un modello, un riferimento privilegiato, ma non il possessore e l'elargitore di una verita' unica. In quest'ottica l'attore principale nel processo di apprendimento e' l'allievo, e' lui che deve percorrere la strada, una strada difficile, riceve indicazioni, segue dei modelli, ma in relata' e' solo, e la sua strada personale se la deve trovare da se.
Quando si trova qualcosa che ci sembra somigli alla strada giusta saremmo nella fase Ha, qui intesa come la fase di personalizzazione, ma siccome non abbiamo piu' (per fortuna) il combattimento reale a farci da riferimento, non sappiamo mai se ci abbiamo preso e ci tocca tornare alle fasi precedenti, in una sequenza che non finisce mai.
Non so se studiare le arti marziali giapponesi ci renda veramante migliori, come raccontano; io ho qualche dubbio, ma certamente tutta questa analisi del movimento ci aiuta a capire meglio e a padroneggiare i nostri movimenti ed il nostro corpo, e forse anche le nostre tensioni. E' vero che potevamo farlo anche con altre discipline, come la danza, o la ginnastica artistica, ma la spada e questo modo di intendere il combattimento hanno qualcosa di magico, un fascino particolare e una loro bellezza, anche se oggi come oggi non servono piu' e fanno solo parte di una storia antica.
Il termine taolu viene impropriamente tradotto in italiano come: forma, translitterando il termine form inglese, che ha piu' il senso di schema, mentre all'italiano forma corrisponde meglio il termine inglese: shape.
In questo ambito e' interessate il lavoro di analisi e ricostruzione dei movimenti dei kata di Karate portato avanti da Ferdinando Balzarro (vedi http://www.ferdinandobalzarro.it/ ).
Ma questa interpretazione degli eventi credo sia stata solo mia, tutti si sono fermati sulla posizione delle mano; alla fine si studia lo schema, che diventa un qualcosa fine a se stesso, ma e' uno schema vuoto appena si perde il senso del contenuto da cui origina.
Il makiwara e' un asse elastico, che va colpito e tenuto un attimo in tensione, senza che il pugno rimbalzi indietro.
In effetti il makiwara e' un po' in disuso, per come sono fatte le gare oggi anche un pugno non "calibrato" vale uguale.
I bunkai sono esercizi in cui si dimostra una possibile applicazione del kata, sono ora anche inseriti nelle competizioni
.Siamo attorno al 1800; per una breve storia del Karate vedi ad esempio la mia pagina: http://www.helldragon.eu/marcello/efeso/kstory/story.html#ITALIAN o meglio il libro di Kenji Tokitsu: "Histoire du Karate-Do", 1993, Editions SEM Paris, pubblicato in italiano dall'editore Luni: https://www.lunieditrice.com/epages/53174.sf/it_IT/?ObjectPath=/Shops/53174/Products/30031
La letteratura sportiva distingue fra "capacita' coordinative", cioe' quelle relative alla coordinazione motoria e all'esecuzioni precisa del movimento, e "capacita' condizionali", cioe' relative alla condizione fisica di allenamento.
Un antico proverbio cinese, attribuito a Confucio, dice: "Quando il saggio indica la luna, lo stolto guarda il dito".
La saia e' il fodero della spada giapponese ed il saiabiki l'atto di tirarlo indietro quando si estrae la spada.
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